Da un lato c’è il gesto lento e rituale della riscrittura: la copia come riappropriazione, il doppio come omaggio e poi possesso. Dall’altro c’è il gesto condotto fino all’ossessione. Al punto che la stessa trascrizione precipita nel suo contrario: la parola citata e riscritta si perde nell’accanimento della lettera sul foglio. E con lei, a perdersi, è il senso.
Tra questi due movimenti/sentimenti si struttura il progetto performativo dell’artista statunitense Tim Youd (1967, Worcester, MA), dal titolo “100 Romanzi”, ovvero 100 romanzi amati da riscrivere in 10 anni, fedelmente, lettera dopo lettera, pagina dopo pagina. Scegliendo dei luoghi simbolici che con quei libri hanno a che fare e che diventano teatri dell’azione concettuale.
Youd si siede a un tavolo, davanti alla sua Royal 10, macchina da scrivere prediletta, e inizia a picchiare sui tasti, mentre l’occhio segue le righe fitte del romanzo da ricopiare. Ma c’è un’anomalia: tutto avviene su un foglio, anzi due. Sovrapposti e bombardati di piccole lettere a inchiostro, nel ticchettio che satura l’ambiente. Alla fine del processo, che fa implodere centinaia di pagine su un unico piano, Youd separa i due fogli e li espone così, accostati, a evocare un libro aperto: pagina destra e sinistra, in un dittico fatto di buchi, di cicatrici, di strappi, di parole pesanti ammassate fino a sfondare la carta e sparire.